Testata


Fondazione di Atlantide e sacra Scrittura

Stefano Maria Chiari

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Che la civiltà di Atlantide sia esistita è opinione controversa, ma a favore della quale ci schieriamo.

E non soltanto per le testimonianze ed i rilievi dei fondi oceanici, che riportano dettagli impressionanti sui resti di città sommerse, ma anche e soprattutto perché abbracciamo appieno la tesi di Crombette, per il quale l’inabissamento di quest’isola fu senza dubbio causa dello sconquasso che il pianeta subì a causa dell’apertura del mar Rosso ad opera di Mosè, per la potenza di Dio. Le fonti note sull’esistenza di Atlantide sono i dialoghi del Timeo ed il Crizia di Platone.


Riportiamo: «Su questa montagna aveva la sua dimora uno degli uomini primordiali di quella terra, nato dal suolo; si chiamava Evenor e aveva una moglie chiamata Leucippe,ed essi avevano un’unica figlia, Cleito. La fanciulla era già donna quando il padre e la madre morirono; Poseidone si innamorò di lei ed ebbe rapporti con lei e, spezzando la terra, circondò la collina, sulla quale ella viveva, creando zone alternate di mare e di terra, le une concentriche alle altre; ve ne erano due di terra e tre d’acqua,circolari come se lavorate al tornio, avendo ciascuna la circonferenza equidistante in ogni punto dal centro, di modo che nessuno potesse giungere all’isola, dato che ancora non esistevano navi e navigazione»…

Ancora Platone: «... I sovrani di Atlantide anzitutto gettarono ponti sugli anelli di mare che circondavano l’antica metropoli, e fecero una strada che permetteva di entrare ed uscire dal Palazzo reale, che fin da principio eressero nella dimora del dio e dei loro antenati, e seguitarono ad abbellirlo di generazione in generazione, dato che ciascun re superava - all’apice della gloria - colui che l’aveva preceduto, sino a fare dell’edificio una meraviglia a vedersi, sia in ampiezza che in bellezza. E, partendo dal mare, scavarono un canale largo trecento piedi, profondo cento, lungo 50 stadi, che arrivava alla zona più esterna creando un varco dal mare fino a che essa divenne un porto; e il varco era abbastanza ampio da permettere l’entrata alle navi più grandi. Inoltre - a livello dei ponti - aprirono gli anelli di terra che separava gli anelli di mare, creando uno spazio sufficiente al passaggio di una trireme per volta da un anello all’altro e ricoprirono questi canali facendone una via sotterranea per le navi; infatti le rive furono innalzate di parecchio sopra il livello dell’acqua. Ora, la più grande delle zone - cui si poteva accedere dal mare tramite questo passaggio - aveva una larghezza di tre stadi e la zona di terra che veniva dopo era altrettanto larga; ma le due zone successive, l’una d’acqua e l’altra di terra, erano larghe due stadi e quella che circondava l’isola centrale era di uno stadio soltanto. L’isola su cui sorgeva il palazzo aveva un diametro di cinque stadi...».

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Ricostruzione della capitale di Atlantide

 

Dallo studio delle antiche civiltà americane, è possibile rinvenire numerose attestazioni relative alla vicenda del diluvio universale e della provenienza dei fondatori di Atlantide. Si ritiene, da parte nostra, che l’America sia stata fondata dagli antenati degli egiziani; il passaggio per Atlantide nel mezzo è percorso obbligato. Dalla esatta lettura dei documenti e dei ritrovi archeologici pervenuti, Crombette riesce a rendere perfettamente l’idea di una corrispondenza, a volte simmetrica, di alcuni termini chiave, largamente impiegati nel vocabolario corrente delle diverse popolazioni americane ed egiziane rispettivamente, con ciò provando la comune origine del ceppo di provenienza.


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Un’incisione tratta da un manoscritto del 1576,
della collezione Aubin, figura Aztlan, il luogo d’origine degli aztechi


Diamo la parola a Crombette:

«Si è cercato ogni tipo di origine agli indiani d’America; perché non si è creduto a ciò che dicevano le tradizioni indiane? Gli indiani dichiarano di essere venuti dall’Africa per 12 cammini che Dio aveva aperto nel mare, cioè 12 isole che Dio aveva fatto sorgere nell’oceano separando l’Africa dall’America. Queste isole, dunque, non esistevano anteriormente al cataclisma che le ha fatte apparire; ora, tra esse, la più importante era incontestabilmente quella citata da Platone nel Timeo, e che segna, nel fondo dell’oceano, l’immenso banco che, a 4.000 metri di profondità, si estende dal 50° al 10° parallelo, Atlantide. Perché rifiutarsi di riconoscere inoltre la stretta parentele linguistica che esiste tra l’Atlantis greca e l’Aztlan messicana? Si troverebbe questa relazione morfologica troppo poco convincente? Ebbene! Scaviamo la parola. E per meglio dimostrare l’origine africana degli atlantidi, andiamo a cercare nell’Africa stessa gli elementi linguistici del loro nome. É il copto che ce ne svelerà il senso, giacché Aztlan si trascrive senza sforzo in egiziano:

Asch Tel (tel) En;
Quantus Fluxus Extrahere;
Molto grande Fluido Trarre da (o portare alla luce);

‘Ciò che è stato tratto (alla luce del sole) dalla molto grande acqua (l’Oceano)’.

Ecco la prova onomastica che l’isola di Aztlan è uscita bruscamente dall’oceano al quale ha dato il suo nome. Essa è emersa allora come è affondata più tard(1).


Per capire bene il riferimento, occorre spiegare come Crombette riesca ad ottenere la prova, nello studio della geografia divina (tale perché rivelata nella sacra Scrittura), dell’esistenza della Pangea e della relativa deriva dei continenti a seguito del diluvio universale. Proseguiamo ancora aggiungendo che, da grande erudito quale era, ottenne una chiave di lettura degli antichi geroglifici egiziani e dell’ebraico della Bibbia, attraverso l’impiego del copto. Questo gli consentì di ricavare dal sacro Testo un arricchimento notevole nelle traduzioni in lingua volgare, svelando dettagli e precisazioni importantissime ed ancora ignote. Tutto questo, senza alcuna alterazione della divina Tradizione e del dogma della Chiesa.

Lasciamogli ancora la parola: «Il geroglifico messicano che designa l’isola di Aztlan è un airone che si dice Aztatl. Ora, se trascriviamo in copto questo nome indiano, cosa vi vediamo?

Asch Taha Tel;
Quis Statuere Fluxus;
Quello Stare  in piedi Fluido;

‘Quello che sta in piedi in ciò che è fluido’.

Questa definizione è perfettamente esatta e totalmente egiziana, non solo di forma, ma di spirito; giacché era d’uso nell’antico Egitto, l’abbiamo già dimostrato, denominare gli animali dal loro comportamento particolare, e l’airone è appunto l’uccello che ha l’abitudine di tenersi in piedi, su una zampa, nell’acqua. Così Atlantide innalzava sopra i flutti i suoi picchi altèri. D’altronde l’immagine dell’airone si applica a un’isola; questo è detto per quelli che hanno cercato di localizzare Atlantide in regioni continentali. L’Aztlan, dicevano gli indiani, era il paese dei loro antenati, gli Azteca. É ancora il copto che ci svela la chiave di questo nome americano, poiché Azteca si trascrive:

Asch Têk  Ha;
Quantus  Fortis Caput;
Molto grande, molto numerosi Forte Capo;

‘Molto grandi e numerosi i capi forti’.

Si compari questa qualifica con ciò che diceva a Solone il sacerdote di Saïs: ‘In quest’isola Atlantide, dei re avevano formato un impero grande e meraviglioso. Questo impero dominava non solamente sull’isola intera, ma anche su un gran numero di altre e su delle porzioni del continente». Questi re, non erano loro i capi forti, gli Asch Têk Ha? (…) ecco una rassomiglianza che merita di richiamare l’attenzione: ‘Le leggende tzentales, che ci racconta Ordoñez y Aguiar, menzionano un eroe civilizzatore chiamato Votan, venuto da un luogo chiamato Valum-Votan, ‘la terra di Votan’... I tratti che Ordoñez presta a Votan lo fanno rassomigliare stanamente a Quetzalcohuatl (il capo messicano che passa per aver civilizzato lo Yucatan) - Votan scrisse un libro sull’origine degli Indiani e le loro migrazioni verso quei luoghi. Egli cercò di stabilire che discendeva da Imos, che era della razza di Chan, cioè del serpente, e che traeva il suo nome da Chivim. Egli fu, dice, il primo uomo che Dio inviò in questa regione per popolare e dividere le terre che noi chiamiamo l’America’.

Avremmo dunque, secondo Votan, la successione Chan-Imos-Chivim, come predecessori del primo uomo sbarcato in America. Noi sappiamo, d’altronde, che gli egiziani ebbero per antenati Cham, in cui si può senza sforzo riconoscere Chan; poi suo figlio, Misraïm, il generato dal sole: Mice, natus, , sol. Ora Imos può avere lo stesso senso, giacché il sole si dice anche oriens, in copto Iebet Schai; Iebet è formato da I-Hê-Bet = I-Initium-Latus = il lato del debutto di I; I è dunque il sole, e Ie ha il senso di sole levante. I, in copto, ha d’altronde il senso di ‘Io o Egli, Me o Lui’; applicato al sole, lo designa con questo pronome rispettoso: Lui, cioè quello che è talmente, che non si ha bisogno di designarlo altrimenti. Così pure, in Schai si vede Scha, splendere, brillare e I, che è ancora il sole. Pertanto, I-mos si può trascrivere I-Mes, il generato dal sole (Mes = parere = generare), come Misra-ïm. Tra i figli di Misraïm, uno si chiamava Luhabim, che è stato l’eponimo delle città di Cabasa, di Cheb, di El-Kab; è questo radicale Cab, Cheb, che noi ritroviamo in Chivim, completato da im, indicante generatore di razza, come in Luhabim. Votan era dunque un discendente, o almeno molto prossimo, di Luhabim: la concordanza è netta per quest’ultimo con Chivim; ma non lo è meno per Cham e Chan, giacché N come M indica generazione, emittere, mittere.

A chi avesse ancora dei dubbi sulla legittimità dell’assimilazione che noi facciamo di con I, potremo fargli notare che si ritrova I in Ioh, Iah, la luna, e che Iah si scompone in I e Ah; poiché Ah è il segno del femminile (confronta Îchah, donna, Îch, uomo), Iah ha il senso di ‘donna di I’; e si sa che la luna passava per essere la sposa del sole, che è dunque I.

Valum-Votan è, si dice, ‘la terra di Votan’. Vediamo come il copto ci può spiegare questa espressione. Essendo la V e la F delle labiali intercambiabili, possiamo scrivere: Fa-lum-Fotan, da cui traiamo Pha-Lômi-Phôt-En = Res propria-Homo-Migrare-Ducere = Proprietà-Uomo-Emigrare-Condurre = La proprietà dell’uomo che ha diretto la migrazione. Si può ancora vedere in Valum-Votan: Bal-Ome-Bo-Ata-Ń = Finis-Lutum-Vitis-Multitudo- Extrahere = Paese-Terra grassa-Bastone del capo-Moltitudine-Far uscire = ‘quello che, avendo il bastone del capo, ha fatto uscire una moltitudine dal paese della terra grassa’. Questo paese della terra grassa è l’Egitto. Valum assomiglia, in effetti, al nome arabo di Peluse: Farama, giacché V = F, L = R e Rama = Lômi che è Lum.

L’ascendenza degli indiani può trovare il suo coronamento nel grande dio dei Lacandoni, Nohochacyum, il ‘nonno’, cioè l’antenato di tutti. L’ebraico e il copto ci danno ancora la chiave di questo nome: Noah significa permanere, dimorare fino alla fine, o reliquum fuit, colui che è stato risparmiato; a fianco di questa parola ebraica, il copto ha Nahe per Longævus, molto anziano; il che corrisponde al Noho indiano. Chacyum si ritrova nel copto Chas-Iom = permitte-mare = lasciar andare-mare. Da cui la traduzione: ‘Il molto anziano che fu risparmiato, avendolo il mare lasciato andare’; espressione del tutto adeguata a Noè, l’antenato comune dell’umanità post-diluviana. Da notare, ‘en passant’, che se Noè è riconosciuto dagli americani come loro primo autore, vi è qui una grande presunzione in favore del diluvio universale, soprattutto se si considera che questo dato si aggiunge alla tradizione che vuole che tutta l’America sia stata ripopolata da Votan, il quale, l’abbiamo visto, non è che un discendente di Noè, per Cham, Misraïm e Luhabim.

Le diverse prove che abbiamo avanzato dell’origine egiziana degli americani, sono lungi dall’essere limitative; ma, per non dilungarci, ne daremo solo un’altra, ma è importante. Accanto ai riti e al culto regolare, i messicani conoscevano dei riti magici che passavano per essere stati insegnati agli uomini da due divinità, Oxomoto e Cipactonal. Beuchat riproduce un’incisione del ‘Codex Borbonicus’ che rappresenta questi dèi: l’uno, che getta dei grani traendoli da una ciotola; l’altro, che tiene nella mano destra una patera da incenso, simile a quelle che presentano alle immagini i re d’Egitto nei giubilei trentennali, e nella mano sinistra un coltello; dietro, c’è un coccodrillo; il primo personaggio non sembra aver caratteristica animale, ma la sua mano libera fa un gesto di comando, gesto che si vede anche in un geroglifico egiziano; l’incisione termina con il segno dell’acqua. Noi trascriviamo in copto Oxomoco con:

Ha  Djô Mou Koh
Magister Ducere Aqua Summitas
Signore Far scendere Acqua Sommità

‘Il signore che fa scendere l’acqua dalle sommità’.

Noi conosciamo bene questa espressione; abbiamo già ritrovato una formula assolutamente equivalente nelle titolature dei faraoni che hanno celebrato un giubileo trentennale: ‘Il legislatore che fa discendere l’acqua dalle montagne sul paese’. Con ciò, questi faraoni sono assimilati a Thoth- Ludim, il fondatore di queste feste religiose alle quali era attribuita l’abbondanza delle inondazioni e conseguentemente dei raccolti. Oxomoco, che sparge dei grani, che dà l’ordine all’acqua di spandersi, il cui nome Oxo non è altro che quello di Thoth sotto la sua forma egiziana di Oudj-Diou; Oxomoco è ben un dio dell’Egitto primitivo, il figlio maggiore di Misraïm, il re di Peluse, l’iniziatore stesso dei riti magici conservati dai messicani, giacché il suo nome stesso significa parole magiche.

Cipactonal è già doppiamente designato come essente il dio coccodrillo dal suo nome di Cipac e dall’immagine del grande sauro che l’accompagna. Ora, il dio che gli egiziani adoravano sotto la forma del coccodrillo, altri non era che Luhabim, il terzo figlio di Misraïm, lo stesso che Votan rivendicava come suo antenato. Questo sarebbe già probante; ma ecco che c’è di più. Il dio coccodrillo era, per gli egiziani, quello che presiedeva alle sepolture perché aveva inventato la mummificazione per assicurare la conservazione dei corpi nell’attesa della resurrezione. Ora, Cipactonal si presenta con un coltello, strumento di dissezione, e un turibolo infiammato, come se volesse significare nello stesso tempo il culto reso ai morti, la sopravvivenza dell’anima e l’impiego di prodotti aromatici per imbalsamare i cadaveri. E il suo nome è ancor più significativo delle sue funzioni poiché si trascrive: Sah-Pahs-Tho-Ń-El: ‘Il signore che impedisce la corruzione dei cadaveri e che rende loro gli ultimi doveri’.

Sah-Pahs-Tahno-El: ‘Il signore che opera la conservazione dei cadaveri’.
Sah-Pahs-Thên-Òl: ‘Il signore che introduce della nafta nei cadaveri’.
Sah-Pahs-Tôn-Òl: ‘Il signore che conduce i cadaveri alla resurrezione’.

Si può desiderare una dimostrazione più completa dell’identità del dio egiziano delle sepolture e del dio indiano Cipactonal?

Lo studio che abbiamo fatto della lingua americana, per breve che sia, ci ha permesso di dimostrarne, senza contestazione ragionevolmente possibile, l’origine egiziana. Non ci sembra che le molteplici relazioni da noi rilevate tra l’Egitto e l’America siano state finora segnalate. Eppure sono stati molti gli studiosi che si sono occupati sia di egittologia che di americanismo. Perché dunque noi, pur essendo molto meno istruiti di loro, abbiamo afferrato questi rapporti che a loro sono sfuggiti? É che noi abbiamo messo alla base delle nostre ricerche un postulato che essi hanno troppo sovente scartato: la credenza nelle Sacre Scritture. Noi abbiamo creduto al diluvio universale, all’annientamento di tutta l’umanità ad eccezione della famiglia di Noè, al necessario ripopolamento di tutta la terra da parte di questa famiglia, a una lingua unica primitiva che si è deformata alla dispersione dei popoli alla torre di Babele, alla tabella etnografica della Genesi; noi non abbiamo mai respinto con disprezzo le tradizioni dell’umanità, i racconti degli antichi, ma abbiamo cercato di comprenderli e di verificarli. In breve, abbiamo fatto, prima di tutto, atto di fede e di umiltà, e Dio ce ne ha ricompensato facendoci percepire delle comunicazioni che neanche potevano sospettare quelli che non le credevano possibili»(2).

I figli di Misraïm hanno avuto quindi un ruolo fondamentale nella civilizzazione del mondo; dominatori di un impero che si estendeva sull’intero globo, autori di opere grandiose nella memoria.

«Il manoscritto azteco che rappresenta l’antenato in cima ad un’alta montagna fa pensare alla tentazione di Cristo nel deserto: ‘Il diavolo lo portò su un’alta montagna e gli mostrò tutti i regni del mondo, con la loro gloria, e gli disse: Ti darò tutto questo se tu mi adorerai’. E si pensa a Cham, salvato con suo padre e i suoi fratelli dalle acque del Diluvio che ha distrutto l’umanità idolatra affinché mantenesse il culto del vero Dio, Cham, che Satana sollecita: ‘Se tu mi adori, io ti farò regnare sul mondo’. E Cham, invece di dire come Gesù: ‘Vattene Satana!’, accetta il patto. Per questo è stato considerato come il padre dell’idolatria e l’inventore delle arti magiche e della stregoneria. Il nemico di Dio, che ha guadagnato una prima ‘manche’ al Paradiso terrestre, non è vinto dal diluvio, ma può rialzare la testa ed ingaggiare una nuova partita: l’antico serpente sarà il dio dell’Egitto, dell’Africa, dell’America, prima di divenirlo ben presto del mondo intero con l’Anticristo, ed essere poi incatenato per 1.000 anni nell’abisso e finalmente gettato nello stagno di fuoco e di zolfo per l’eternità. Ecco il dramma immenso, che sorpassa ogni concezione, che percorre tutta la storia, di cui Cham ha aperto uno degli atti» (3).

In questo si spiega la corruzione teologica della cabala spuria, consistente appunto nel pervertire alla magia esoterica (quindi in senso lato gnostica) la tradizione ricevuta da Adamo e trasmessa vivente per Noè.

Atlantide rappresenta questo momento di transito del paganesimo, oggi ingiustamente ed «astoricamente» vista come figura mitica di un mondo ideale, ove vivere «in armonia col cosmo», prescindendo tuttavia dall’unica ragione e causa di vita del cosmo stesso: Dio e la sua verità.

Atlantide, come molto del conclamare storico dal carattere un po’ sovversivo, si viene a collocare alle antipodi di un modus vivendi tracciato dal cristianesimo; ma, Sacra Scrittura alla mano, a ben vedere, invece, essa ne rappresenta l’ennesima conferma.

Stefano Maria Chiari

dal giornale on-line FDF - 19 Dicembre 2010


1) La vera storia dell’Egitto antico, F. Crombette.
2) Ibidem.
3) Ibidem.

Ceshe 1999 -