Testata


Da Science et Foi n° 68 - secondo trimestre 2003

RIFERIMENTI GALILEIANI

di Chrysogone

“Sei tu che annodi i legami delle Plèiadi e sciogli i vincoli di Orione?"

 

Galileo: è questo il titolo di una delle ultime opere di Claude Allègre, tonante ex ministro dell'Educazione e della Ricerca, ma anche specialista delle scienze della terra, titolare del prestigioso premio Craford (analogo al Nobel in questo campo). Nel suo libro Dieu face à la science, egli interviene questa volta come avvocato di Galileo nella nuova opera pubblicata da Plon: "Per difendere Galileo, ho scelto di scivolare nella persona di Benedetto Castelli, che gli è rimasto amico fedele per tutta la sua vita…" (p. 40). Tuttavia questo libro non sembra aver avuto lo stesso eco del precedente; e ciò è male, giacché, pur non dicendo qui nulla di nuovo sul piano dell'inchiesta scientifica e storica, manifesta tuttavia una capacità rara di vedere il nocciolo del problema, anche se non ne trae tutte le conseguenze; la storia in effetti è scritta -una volta di più avrebbe sottolineato Nietzsche- secondo il punto di vista del vincitore; nella fattispecie da un rappresentante del pensiero scientifico moderno. 

L'opera comincia col riportare le circostanze: quelle della Contro-Riforma, del Concilio di Trento (1545-1564), periodo che vede la creazione del Collegio Romano ad opera dei Gesuiti tra il 1541 e il 1551: "… con un insegnamento ineccepibile in teologia, ma anche in matematiche, in filosofia naturale e in astronomia. Per evitare la baronia, i titolari del corso cambiano ogni tre anni" (una misura che oggi sarebbe rivoluzionaria in molte università francesi e attirerebbe non pochi fastidi a un ministro dell'Educazione nazionale che cercasse di imporla) (p. 13). Corpo di Bacco! "Nel 1611 il Collegio romano conferirà a Galileo finanche il suo primo diploma di dottore honoris causa". … Galileo (1564-1642), in cui Claude Allègre vede un cattolico sincero, fondatore della scienza moderna. Combinando degli esperimenti precisi e ripetuti con una riflessione teorica poggiata sulle matematiche, egli fonda in effetti il famoso dittico esperienza‑teoria, base del cammino scientifico moderno… Archimede, Galileo, Newton, Einstein: la linea d'oro della fisica" (p. 14-15).  

Non tutto è falso in queste brevi menzioni che esigerebbero tuttavia qualche chiarimento, compresi gli esperimenti di Galileo. E, secondo l'autore, è stata la lettura di Keplero (1571‑1630) a convincere Galileo che Copernico (la cui opera sull'eliocentrismo era apparsa nel 1543, anno della sua morte) aveva ragione, anche se Galileo non ammise mai la scoperta di Keplero sul carattere ellittico delle orbite dei pianeti. Ma, nel 1616, la Chiesa aveva messo all'Indice il libro di Copernico. 

Sorvoliamo su alcune inesattezze (Tycho Brahé "molto cattolico", p.106, allorché era protestante, il riferimento alla nozione di massa, p.14 e segg. introdotta ulteriormente da Newton, etc.), la storia non è forse figlia del racconto? E passiamo sulle scoperte (polemiche!) di Galileo per arrivare al processo del 1633 che gli rimprovera, nelle sue lettere a Castelli e alla granduchessa Cristina di Lorena, non solo di aver interpretato la Scrittura col copernicanesimo, ma anche di affermare che "l'interpretazione delle Scritture come l'insegna la Chiesa valeva solo per il volgo e l'ignorante" (p. 45). Commentando la prima di queste lettere nella sua opera piccola e densa intitolata La Révolution Galiléenne (Ellipses), Fabien Chareix scrive: "Questa verità (scientifica) è opposta alla verità semplicemente relativa che emana dalle Scritture Sacre … Da una parte, la scienza produce delle leggi secondo la forma rigorosa e logica che conviene alla necessità e all'inesorabilità che si esprime nella natura stessa. Dall'altra, la Sacra Scrittura usa dei procedimenti di semplificazione ad uso dei fedeli" (p. 57). Ed è ben qui il fondo dell'affare: il rovesciamento della gerarchia tradizionale delle scienze e delle sapienze, come la scolastica le aveva elaborate. Il che, d'altronde, non impedisce a Castelli alias Allégre, di perorare in favore della fede sincera e del genio scientifico di Galileo. Ma in più, a livello dei fatti, "il fondo del dibattito era la messa in opposizione della teoria di Copernico, che spiegava Galileo, e quella, non di Tolomeo, ma di Tycho Brahé, adottata e difesa da dieci anni dai Gesuiti del Collegio romano… Tycho faceva girare i pianeti attorno al sole, il tutto ruotando attorno alla terra" (p. 91). E il nostro scienziato riconosce: "La posizione di Galileo circa il dibattito puramente intellettuale non è d'altronde esente da critiche. Forse che i suoi argomenti scientifici per affermare la preminenza matematica del modello di Copernico sono definitivi? Le maree terrestri? Le fasi di Venere? I satelliti di Giove? Nessuno ha dei difetti? Dall'altra parte, gli argomenti degli studiosi gesuiti non sono senza valore. Le effemeridi di Tycho Brahé sono migliori. Le apparenze sensibili perorano il sistema di Tolomeo. E così via" (p. 137). A partire da ciò, malgrado la difesa abile di Castelli, l'affare era liquidato: "Ecco perché io non voglio difendere la superiorità scientifica degli argomenti di Galileo sugli altri. Ciò che voglio perorare qui, è la buona fede di Galileo" (p. 137). E rimarco: "Dopo tutto, non si trattava di un'assemblea di imbecilli. Anzi!" (p. 141).  

E anche se egli ammette in fine la possibilità di un'interpretazione allegorica dei passaggi facenti difficoltà, ne afferma nondimeno, per bocca del presidente del tribunale della Santa Inquisizione, che: "infatti, l'attitudine predicata dal cardinal Roberto Bellarmino è in tutti i punti la buona" (p. 143). Il corpo dell'opera termina con la condanna di Galileo, poi la sua abiura, e infine col discorso del Papa davanti all'Accademia pontificia del 31 ottobre 1992. 

Ma oggi, sul piano scientifico, la questione è fisicamente regolata, indipendentemente dall'approccio relativista, il quale si inscrive, come riconosce lo stesso Claude Allègre, nello sviluppo della concezione galileana del movimento: "La teoria della relatività sviluppata da Einstein, ma di cui Galileo fu l'iniziatore, postula che nell'universo non c'è un riferimento assoluto, ma solo dei riferimenti arbitrari. Si può dunque perfettamente descrivere il sistema solare decidendo che la Terra è fissa o che il Sole è fisso o che è fissa la Luna. Partendo da là, si possono definire le traiettorie degli altri oggetti planetari. Oltre al fatto che è fisicamente vero - Delle prove! Delle prove! (N.D.L.R.) - la superiorità descrittiva del sistema planetario eliocentrico, è che esso permette la descrizione più semplice! È questa l'eleganza che Galileo difendeva, e qui aveva ragione. Ma anche gli altri modelli permettevano una descrizione precisa del cielo, ragion per cui Tolomeo e Tycho Brahé sono riusciti a calcolare delle effemeridi molto precise. Di colpo, se si considerava la prova dall'osservazione, Tolomeo e Tycho avevano ragione, poiché i loro calcoli erano più giusti di quelli di Copernico!" (p. 38, 39). Sia! Ma dobbiamo allora rinunciare definitivamente alla ricerca di un centro fisico che permetta un geocentrismo rinnovato? 

La perorazione è dunque ben fatta dal punto di vista di un rappresentante del pensiero scientifico moderno, al quale peraltro le conseguenze culturali diverse da quelle del conflitto scienza-religione, per esempio la posta filosofica sullo statuto della scienza, sembrano completamente sfuggire. Certo, questo ci porterebbe aldilà di una semplice perorazione, ma non è senza interesse ricordare, per prendere un riferimento tra altri possibili, che una delle ultime opere di Husserl: La crise des sciences européennes et la phénoménologie transcendentale (scritta tra il 1935 e il 1937 e pubblicata nel 1976 da Gallimard) vede nella scienza galileiana della natura il punto di partenza della crisi della cultura contemporanea. Per gli amatori di analisi fenomenologiche bisogna aggiungere, dello stesso autore, La terre ne se meut pas, (Ediz. de Minuit), la cui copertina del manoscritto portava la menzione: rovesciamento della dottrina copernicana nella visione abituale del mondo. 

Questo approccio un po' corto è confermato dal carattere succinto della bibliografia dove, sul piano della storia delle scienze, non si trova l'opera classica di Arthur Koestler su questo tema, Les somnambules (Calmann‑Lèvy), e sul piano della storia delle idee quella più recente di Dominuque Tassot, ex presidente del CESHE, La Bible au risque de la science (F.X. de Guibert), che coglie chiaramente la portata culturale dell'affare fino ai nostri giorni. 

Peraltro, sul piano storico e religioso, nel numero 83 della Revue des Sciences Philosophiques et Théologiques, pubblicata nel 1999 da Saulchoir (diffusion Vrin), Francesco Beretta, dell'università di Friburgo, nel suo articolo Le procès de Galilée et les archives du Saint Office (p. da 441 a 490) si chiede: "Qual'è il valore dottrinale dell'abiura della dottrina eliocentrica imposta al filosofo toscano dal Papa Urbano VIII?" (p. 442) Avendo beneficiato dell'apertura recente degli Archivi della Congregazione per la dottrina della fede egli afferma che: "… è ormai possibile troncare la questione primordiale concernente la natura delle parti del processo che noi conosciamo. In più, lo studio di altri casi analoghi a quello di Galileo permette di interpretare correttamente, dal punto di vista giudiziario e teologico, una delle condanne più celebri pronunciate dal Tribunale romano dell'Inquisizione" (p. 443). 

Conclusione del riassunto di questo articolo molto documentato: "Il verdetto (del Papa Urbano VIII del 16 giugno 1633) applica formalmente la censura di eresia alla dottrina eliocentrica. Siccome esso è stato pronunciato dal giudice supremo in materia di fede, che ha voluto fosse conosciuto in tutta la Chiesa, esso acquisisce valore di atto del magistero" (p. 490). E un po' prima l'autore aveva scritto: "Il più coerente, da questo punto di vista, è stato il presidente del Sacro Palazzo Filippo Anfossi che nel 1820 giustificava, per il carattere irreformabile del decreto del 1616, il suo rifiuto di dare l'imprimatur ad un'opera che insegnava la dottrina eliocentrica… Sarebbe dunque auspicabile che i teologi che si chinano attualmente sulla questione delle responsabilità del magistero pontificio riguardo all'Inquisizione, riflettessero sui gravi problemi che pone non solo la condanna di Galileo ad abiurare la dottrina eliocentrica, ma anche il funzionamento stesso di un Tribunale dove il sovrano pontefice, dal XVI° al XVIII° secolo, pronuncia regolarmente… dei verdetti di condanna per eresia, in virtù del suo ministero di giudice supremo in materia di fede" (p. 486). 

E per avere l'idea della possibilità reale di ciò che potrebbe essere un nuovo programma di ricerca sul doppio piano delle scienze e della teologia, quadro al quale è sempre possibile apportare dei complementi o delle correzioni, e nell'attesa di un giudizio del magistero, studiamo, quest'estate, penna in mano, i due tomi di Galileo aveva torto o ragione? di Fernand Crombette, sub tegmine fagi

Allegramente.

Ceshe 1999 -